Non ho idea del come e del perché
ho cominciato alla fine degli anni ’50 ad occuparmi di storia delle religioni.
Con una particolare predilezione al mondo orientale, senza meno la fonte più
antica. Nel rifletterci potrei dirmi che in quel periodo fossi alla ricerca di
un qualcosa che le mie scelte di vita non davano a me quei risultati che speravo ne nascessero.
Di allora, come primo testo scientifico,
resta nella mia libreria una edizione Laterza del ’60: “Discorsi lunghi, Canone
Buddhista”. Gli anni non erano quelli che a me, disinteressato ma curioso dei
figli dei fiori, potessero essere di suggerimento!
E forse nemmeno il Siddharta, capolavoro
di Hermann Hesse. Ma certo da qualche parte il suggerimento deve essermi
arrivato! Da allora la mia libreria si è arricchita di un notevole numero di
pubblicazioni, tutte rigorosamente scelte tra le più documentate sul piano
storico e scientifico, allargando, quasi da subito, l’orizzonte dall’India alla
vicina Cina. Magari una ragione di fondo, a pensarci bene c’era e c’è!
Una assonanza più nei significati
che nelle parole, con la predicazione del Cristo, raccontata da Matteo. Il
chiedermi come poteva, questo trentenne giordano, cresciuto in mezzo ai suoi
correligionari ebrei, sotto la dominazione romana, “inventarsi” il concetto
della compassione, caro al mondo indù, taoista e buddista. Forse che
dall’oriente, oltre alle sete ed alle spezie, viaggiavano anche le parole!
Mentre mi nutrivo con le pubblicazioni della Utet e di altre case minori ma
altrettanto ferme nella loro serietà, approfondivo la conoscenza, con tutta
l’umiltà possibile nello scrivere queste note, di tutto quel mondo,
sottolineando a mio giudizio la discrasia profonda tra il pensare, lo scrivere
ed il realizzare. Come se il pensare altro non fosse che una determinata fonte
di fantascienza rispetto alla ricerca scientifica ed alla realizzazione sociale
di certe verità! Da Abhinavagupta, dove nel suo “ Tantraloka - Luce delle sacre
scritture” scrive cose fantastiche come questa: “Così come in un seme di un ficus indica sta in potenza un grande
albero, nel seme del cuore sta il mondo, compresi tutti gli esseri, mobili o
immobili.” Per arrivare, con un passo lungo un paio di millenni, al fisico
austro-americano, Frjtioff Capra, con il suo “Tao delle fisica”, nel quale mette
a confronto le straordinarie intuizioni del pensiero taoista con le più recenti
scoperte della ricerca scientifica moderna.
In questo quadro d’insieme, dove
trovano posto capolavori del pensiero umano come il Bhagavd Gita e le soluzioni
umane e politiche del Mahatma Ghandi, mi
piace dirvi del mio incontro con Raimon Panikkar. Di lui ho letto “La
dominazione europea in Asia” edizione Einaudi, “La dimora della saggezza”
edizione Oscar Mondadori ed un testo straordinario, il commento a “I Veda
Mantramahjari”, due volumi della BUR. Ultimamente è uscita una splendida
biografia di Panikkar, scritta da Maciej Bielwski per i tipi di Campo dei
Fiori. Panikkar, spagnolo e indù, sacerdote gesuita e iscritto, in gioventù,
all’Opus Dei. Non male, come quadro di partenza! E’ stato ed è un dei più
straordinari interpereti del pensiero indù, senza mai perdere di vista la
profondità del pensiero cristiano evangelico.
Lascio come stimolo alla curiosità di un
eventuale lettore, questa riflessione che sarebbe eccezionale anche per un
grande esperto di semiotica: “Ogni parola è la cristallizzazione fisica e
metafisica di secoli di esperienza umana. Ogni trama di parole è come un tessuto
su un telaio: ha un proprio colore, un
proprio schema, e per suo tramite noi condividiamo la realtà con il resto
dell’umanità”. Scrive Panikkar: E’ necessario un cambiamento radicale della
nostra civiltà, o essa si indirizza alla produzione di oggetti (tecnocrazia)
oppure alla perfezione dei soggetti (umanesimo). Secondo me, un equilibrato ed intelligente
uso della prima può aiutare nella ricerca di un nuovo e progressivo umanesimo. Leggere
è conoscere, distinguere, scegliere ed
essere!
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