C’è già chi si lamenta perché non si parla d’altro,
e se ne parla tanto solo dopo che si è guadagnato un mare di elogi e di premi. Pur
avendo un passato di cinefilo accanito … e quando dico passato intendo più di sessant’anni
di film, era tanto tempo che non vedevo un film così completamente bello. Per
chi non lo abbia indovinato sto scrivendo de “La grande bellezza”. L’ho
apprezzato per la straordinaria metafora in cui racconta, con sano cinismo ed
altrettanto sano scetticismo, e con una buona dose di sarcasmo, che tipo di
vita ci siamo ridotti a vivere. Pur incorniciati da questa grande bellezza di
cui siamo parte integrante. Non è facile nella cinematografia mondiale
imbattersi in un film che sia perfettamente amalgamato in una scenografia, una
sceneggiatura, una colonna sonora ed un recitazione che non crea smagliature e
perdita di concentrazione. Certo “la fotografia” che scatta Sorrentino di un
certo tipo di presente è talmente realistica da essere squallidamente attuale.
Ma, tant’è! Questo non toglie niente alla bellezza del film. Abituati come
siamo, o come sono, a vedere pellicole, in tv, al limite della scemenza in cui si
agitano fatti e personaggi che altro non sono che fotocopie di cose viste e
riviste, così che la sorpresa di trovarsi di fronte ad un uso così sapiente
dello “strumento“ cinema, esalta, diverte e ti fa riflettere sull’immagine che
trasmette della nostra vita. Allora, non tutto è perduto! La volgarizzazione e
l’uso commerciale del cinema, importante perché crea lavoro ed economia, ma
deludente per l’accrescimento culturale dello spettatore, resta confinato ad un
livello di accoglienza, se pur esaltato dai dati di share, paragonabile ad una
tintura da parete confrontata con un quadro di Raffaello. E’ certamente facile
definire come film d’avventura pellicole come Rashomon, in cui lo spettatore
vede un alternarsi di situazioni che superficialmente lo attraggono, ma lo
tengono lontano dall’essenza del messaggio di Kurosawa, che cerca, in questo
film, di approfondire concetti come “verità” e “pietà”. Così altrettanto facile
scimmiottare il titolo definendolo come “la grande bruttezza”, oppure, pensando
solo a Roma, definirlo “la grande monnezza”. 24 ore di scemenze televisive
utilizzate esclusivamente per essere supporto di pubblicità, rendono
insensibili chiunque alla bellezza. Nella trasmissione di certe pellicole
bisognerebbe che le emittenti avessero il buongusto di non interrompere la
proiezione con filmati pubblicitari. Nonostante che questo sia il loro
mestiere. Cosi come accade nella trasmissione di una sinfonia, impensabile immaginare
la pubblicità di una qualunque cosa, tra un “allegro” e un “andante”! Forse
ancora non si ha la sensazione di quanto siano deleteri certi costumi, tanto
che né ci si stupisce più quasi di niente, né si riesce a capire la bellezza
nelle sue migliori espressioni. Che poi a qualcuno sia venuto a noia il
sentirne parlare oppure, ad altri, il film non sia piaciuto, non cambia la
oggettiva bellezza dell’opera.
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